Cosa fare e come difendersi.

La violenza di genere e il mobbing sul luogo di lavoro sono tematiche estremamente attuali e purtroppo pongono notevoli questioni dal punto di vista sociale e politico. Questioni che ancora oggi non sono state affrontate con la giusta determinazione e con gli strumenti idonei. Nel corso della mia vita professionale sono venuta a conoscenza, purtroppo, di molte storie di persone che hanno subito molestie o violenza psicologica da parte di datori di lavoro, superiori o colleghi forti, a volte, di una posizione gerarchica di vantaggio. La violenza (di genere e non solo) si afferma sempre in condizioni di disparità, che sia essa fisica, economica o in questo caso sociale, intesa come disparità in un contesto circoscritto come quello del luogo di lavoro. Probabilmente proprio perché mi occupo di lavoro e problematiche correlate, sin dagli inizi della mia carriera, ho un particolare rifiuto per questo tipo di soprusi che rendono, ancora più difficoltosa, la gestione della vita lavorativa di moltissime donne e uomini. Senza volermi sostituire a un supporto terapeutico, a legali o figure analoghe che devono necessariamente affiancare una persona che abbia subito delle molestie o del mobbing, voglio raccontarvi cosa ho imparato io in questi anni. Sperando che possa essere un pochino d’aiuto per capire, denunciare e liberarsi di certe ingiustizie.

Parliamo di molestie sul posto di lavoro

Innanzitutto, quando possiamo effettivamente parlare di “molestie sessuali”? “le molestie vengono definite come quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Le molestie sessuali invece vengono individuate in quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.”

Non parliamo quindi di molestia sessuale solo in presenza di contatto fisico e violenza fisica vera e propria. Ci sono invece tre fattori da tenere in considerazione secondo il D.lgs. 145/2005 che ha attuato la D.73/2002:

  • La percezione: una molestia è tale se viene percepita come tale;
  • L’effetto: una molestia è tale anche se non è intenzionale, non è lo scopo ma il risultato che è rilevante;
  • Il clima: una molestia crea un clima intimidatorio, ostile, umiliante, degradante od offensivo.

Non sono io a dirlo, ma è quel che dice la legge e così si pronunciano la giurisprudenza e gli esperti, come Marzia Barbera, ordinario di Diritto antidiscriminatorio all’università ed ex consigliera nazionale di parità. Non serve il dolo e l’unico punto di vista che si deve tenere in considerazione è quello della vittima: questo hanno affermato le direttive europee e di conseguenza il Codice delle pari opportunità. In tutti i casi in cui si verificano queste tre condizioni, siamo in presenza di molestia. È importante sottolinearlo, perché molto spesso sono le stesse vittime a non esserne consapevoli. “Si stima che siano 8 milioni 816mila (43,6%) le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale e si stima che siano 3 milioni 118mila le donne (15,4%) che le hanno subite negli ultimi tre anni.” Questi i dati ISTAT pubblicati a Febbraio 2018. Una pratica piuttosto comune purtroppo, che però deve essere individuata nei tempi giusti per essere opportunamente sanzionata. 

Cosa fare quindi se ci sentiamo vittime di molestie?

  • Come counselor e consulente, ogni giorno mi trovo a lavorare con persone che affrontano quotidianamente problematiche legate al mondo del lavoro. Come prima cosa non permettete a nessuno di farvi sentire sbagliati né esagerati: se questa è la vostra percezione portate avanti il vostro sentire con un atteggiamento coerente e senza paura.
  • La seconda cosa da fare è esprimere chiaramente il disagio verso quella situazione all’interessato: prendete chiaramente le distanze da quel comportamento.
  • La terza cosa da fare è raccogliere prove: tenete messaggi, lettere e cercate di assicurarvi la presenza di testimoni.
  • In caso le molestie non si interrompano, vi consiglio di rivolgervi a un esperto o addetto ai lavori. Esistono associazioni, sindacati, enti locali preposti alla tutela delle pari opportunità ed è importante avere un parere chiaro e fondato sulla situazione.
  • In alternativa ci si può rivolgere alla figura preposta in azienda o a un superiore (ammesso che non sia la persona responsabile delle molestie) che darà corso al procedimento sanzionatorio nei confronti del molestatore se previsto nel regolamento aziendale.
  • Infine è possibile adire alle vie legali: per un procedimento civile i tempi per una querela sono: entro tre mesi in caso di molestia e entro sei mesi in caso di violenza. Sono tuttavia necessarie delle prove a carico del molestatore. Nei casi più gravi si ricorre ovviamente al procedimento penale.

Qui trovate un piccolo opuscolo informativo scaricabile redatto da un sindacato che si occupa appunto di dignità sul posto di lavoro e di aiutare e assistere le vittime.

Quando possiamo parlare invece di Mobbing 

In relazione al posto di lavoro, il mobbing “è definito come una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. In poche parole, un atteggiamento che impedisce alla vittima di lavorare o di svolgere serenamente la propria attività. Tale comportamento può anche essere messo in atto da persone che abbiano una certa autorità sulle altre (ad esempio capi area, responsabili, direttori), in tal caso si parla di bossing.” Vi sono principalmente quindi tre fattori per trovarsi in presenza di mobbing:

  • Il tempo: per definire mobbing un dato comportamento necessario che questi si presenti per un periodo prolungato di tempo
  • La frequenza: il comportamento deve manifestarsi in maniera continuativa e sistematica
  • L’intenzione: lo scopo precipuo e dannoso del comportamento deve essere intenzionale.

In relazione alle molestie sessuali il mobbing si manifesta quando un collega o un superiore ricatta o crea un clima ostile nei confronti della lavoratrice, allo scopo di ottenerne favori sessuali. Può essere il datore di lavoro che minaccia il licenziamento (bossing) o un collega che appunto con avances piuttosto esplicite crea un clima sul posto di lavoro che rende la situazione insostenibile.

Non c’è in effetti una legislazione specifica nel nostro paese, ma gli episodi di mobbing possono essere ricondotti ad altre fattispecie di reato. Le cose da fare sono quindi sempre le stesse per cercare di tutelarsi e prendere provvedimenti verso comportamenti inaccettabili.

#quellavoltache anche no

La vicenda #MeToo, o #quellavoltache in Italia, è diventata virale con una prepotenza nuova. Neanche 24h per diventare un trend topic condiviso da mezzo milione di persone. È affascinante vedere la potenza dell’indignazione di massa, della solidarietà e della condivisione. Fa tuttavia riflettere quanto una “pratica” comune e conosciuta dai più, sia stata taciuta fino a quel momento.

Il j’accuse va sempre verso i responsabili e dobbiamo tutti essere dalla parte delle vittime.

Bisogna denunciare, sia internamente all’azienda che, se necessario, con gli organi competenti esterni. Questo permetterà di modificare la cultura non solo delle aziende ma della società e far sì che certi comportamenti non possano essere più tollerati. Affinché questo avvenga è importante che se ne parli, che si diventi tutti, uomini e donne più consapevoli dei nostri diritti e dei confini che dobbiamo porre nelle relazioni professionali.

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