A che serve lavorare? Ma soprattutto, chi ce lo fa fare?
Senza dubbio noi lavoriamo per soddisfare in primis un bisogno di sopravvivenza.
Quando abbiamo necessità di garantirci il soddisfacimento di bisogni primari come un tetto sopra la testa e avere lo stomaco pieno, trovare un lavoro “qualsiasi” è già più che sufficiente per riempirci di gioia e farci sentire appagati.
Una volta soddisfatti questi bisogni però ne sorgeranno di nuovi, appartenenti a un livello superiore e legati questa volta, non al tema della sopravvivenza ma al tema della realizzazione personale (e quindi professionale).
E qui si complicano le cose. Perché sentirmi realizzato per me non è la stessa cosa che sentirsi realizzato per te!
Fortunatamente però, possiamo catalogare tre pulsioni di base che, chi più chi meno, abbiamo tutti la necessità di soddisfare.
Queste pulsioni arrivano direttamente dal nostro essere stati bambini ma rimangono percepibili anche in età adulta; il lavoro (che nell’adulto equivale al gioco per il bambino) diventa il contesto ideale in cui esprimerle.
Ma quali sono queste pulsioni che se soddisfatte ci possono consentire di trovare il piacere di lavorare?
- Essere se stessi ovvero poter svolgere la propria attività in modo personale, con creatività e autonomia;
- Crescere quindi potere esplorare, sperimentare, imparare cose nuove, svolgere attività diverse nel tempo;
- Appartenere significa stare insieme e cooperare amichevolmente e pacificamente con altri esseri umani, sentirsi a casa, protetti e accettati, identificarsi con il gruppo.
Quando questi tre elementi vengono soddisfatti si prova piacere nel lavoro, in caso contrario frustrazione.
Vediamo quindi la frustrazione come si può esprimere:
- Se non abbiamo la possibilità di essere noi stessi ci sentiremo spersonalizzati, senza stima, anonimi. Ci potremmo sentire poveri di personalità, non valorizzati come individui unici ma scambiati come ingranaggi di un motore facilmente rimpiazzabili;
- Se non abbiamo la possibilità di crescere poco a poco inizieremo a perdere motivazione, perdere il senso di quello che facciamo, ci annoieremo e ci sentiremo molto frustrati. Proattività, entusiasmo e voglia di fare saranno solo un lontano ricordo;
- Se non abbiamo la possibilità di appartenere infine soffriremo di solitudine, di mancanza d’amore, riceveremo riconoscimenti che saranno solo superficiali e a lungo andare promuoveremo comportamenti individualisti e competitivi anche a scapito degli altri.
Inutile dire che delle buone organizzazioni e dei buoni manager dovrebbero (come fanno i buoni genitori) supportare il soddisfacimento di queste pulsioni per ciascun lavoratore.
In questo modo le aziende sarebbero veramente dei bei posti dove stare e ho la sensazione che le persone sarebbero più felici ( e più produttive!)
E tu, ti riconosci in queste pulsioni? Ce n’è una che senti più importante di un’altra? In che situazione ti trovi?
Fammelo sapere nei commenti.